Thursday, August 30, 2001

spying report

Spying reporting from : Spider
Access code : Reserved
Object : Chimaera

Magnifico Jodar,
Finalmente sono riuscito a rintracciare la Rimembrante nota col nome di Chimaera: dopo aver abbandonato così frettolosamente il nostro accampamento sembra che Chim (come noi affettuosamente l'avevamo soprannominata) abbia intrepidamente attraversato la Desolazione del Lich. Anche un Reietto conosce benissimo le insidie che si nascondono in agguato tra le rovine di quella inquietante distesa desertica, nonostante questo però sembra che Chim se la sia cavata egregiamente: è possibile supporre che sia stata aiutata da qualcosa e/o qualcuno e - se mi è consentito azzardare un'ipotesi irriverente - quel qualcosa forse è proprio ciò che Lei, illustrissimo Jodar, sta reclamando da Chimaera.
Raggiunta la città di Sauder sembra che la disertrice abbia preso servizio nell'entourage di Mermaid e, all'interno di questa piccola organizzazione, ne abbia ottenuto la fiducia: nel momento in cui sto redigendo il report Chim sembra godere pienamente della stima di Mermaid e può essere considerata a tutti gli effetti il Rimembrante della suddetta, un po' il ruolo che svolgeva al Vostro fianco - magnifico Jodar - nella nostra organizzazione.
Rimangono ancora oscuri i motivi che l'hanno spinta ad abbandonare il nostro accampamento così inaspettatamente, ma adesso che la Chimera sta per cadere nella tela del ragno il momento della verità non tarderà ad arrivare.
Allego foto in macro-prospettiva della ricercata come prova dell'individuazione.
Aspetto vostri ordini.

Saturday, August 25, 2001

freakshow

Reaver si guardò attorno. La zona era deserta, l'unico rumore era quello del vento che soffiava tra i palazzi in rovina.
"Capo, ho trovato qualcosa!" La voce di Noir lo distolse dai suoi pensieri. Fece cenno ai due uomini che erano con lui, e si diresse a grandi passi verso il punto dal quale Noir aveva chiamato. Noir era una Connessa, sveglia, efficiente, la cosa più simile ad un secondo in comando che i Corvi avessero tra loro. Erano dieci in tutto, non c'era spazio per un altro Puro nella gerarchia.
"Cosa hai trovato, Noir?"
La ragazza era di fronte ad un enorme portone, al termine di una scalinata che scendeva lungo un largo sottopassaggio che portava a quello che doveva essere il piano sotterraneo del grosso edificio in rovina in cui Reaver aveva deciso di accamparsi. Con una mano accarezzava la porta, in cerca di un meccanismo di apertura, mentre i lunghi tentacoli neri che le scendevano dalla testa come capelli si agitavano sondando la parete, la porta, e un grosso buco quadrato nella parete.
"Sembra che qualcuno abbia provato ad aprire la porta facendo saltare il meccanismo di apertura, ma non deve avere funzionato. Guarda la terra accumulata ai piedi della porta: nessuno deve avere visitato questo posto almeno dai tempi dell'Olocausto."
"Se è come dici, Noir, perché chi ha fatto saltare la serratura non è tornato per vedere cosa c'è dentro? Questo sembrerebbe un magazzino, forse anche un parcheggio sotterraneo, nessun Cercatore se lo lascerebbe sfuggire."
Senza voltarsi, Noir fece cenno verso un mucchio di detriti, sul bordo della strada. Reaver si girò a guardare.
"Ah, capisco."
In mezzo ai detriti, che spuntava per metà dal terreno, c'era uno scheletro, le ossa che puntavano candide con qua e là qualche brandello di vestito ancora attaccato, segnate da una infinità di piccoli graffi.
"Ripperjacks. Deve avere richiamato uno sciame quando ha fatto saltare la serratura. Da solo, senza un posto in cui nascondersi e senza un lanciafiamme deve essere stato spolpato prima del secondo urlo."
"E' quello che ho pensato anch'io" disse Noir, mentre si alzava e si girava verso Reaver. "Nulla da fare," scrollò le spalle. "Questa porta è kaputt, è come connettersi a un sasso. Penso che sia necessario un altro metodo."
Reaver annuì. "Roadblock! Prova a bussare, e vediamo se ci aprono."
"Si, capo." Il Bruto, alto più di due metri e largo quasi altrettanto, superò Reaver e Noir e fissò la porta per qualche attimo. Poi sollevò i pugni, grossi come una testa, e li abbatté contro il portone. Le grosse lastre verde scuro non si schiantarono, ma accusarono il colpo, incrinandosi
lievemente. Il torreggiante bruto scrollò le spalle, e sollevò di nuovo i pugni per un secondo colpo. A questo la porta si aprì di qualche centimetro, abbastanza perché potesse infilare le due mani a doppio pollice nella fessura e aprirla abbastanza perché gli altri potessero entrare.
"Noir, entra con Gufo, Glaive e Charro a dare un'occhiata. Non correte rischi. Roadblock, finisci di aprire la porta. Voi due," disse, indicando due Reietti i fondo al gruppo "trovate qualcosa per fare leva e dategli una mano."
Rapidamente, il gruppo si mise all'opera. Dopo meno di cinque minuti, la porta era aperta, e qualche raggio sole poté finalmente illuminare l'interno dell'edificio. Il corridoio scendeva ancora per un paio di metri nel sottosuolo, per poi aprirsi in una enorme stanza della quale, da fuori, non si vedeva il fondo. Lasciati due uomini di guardia, Reaver iniziò a scendere, insieme a Roadblock e al resto della banda. Fece un cenno della testa all'impuro dietro di sé, e questo immediatamente estrasse una torcia. Batté una estremità del lungo cilindro verde contro al muro, e immediatamente questa iniziò a illuminare le pareti di una luce smeraldina.
Di fronte a loro si apriva una stanza sotterranea grande quanto una piazza, piena di grossi macchinari e casse da imballaggio. Mentre il gruppo avanzava, acuti squittii di rastrelli spaventati sottolineò il loro arrivo. I piccoli roditori dal dorso corazzato fuggivano dalla luce, chiudendosi a palla quando venivano illuminati.
"Rastrelli. Nulla di buono." Reaver scosse la testa. "Avranno rosicchiato e mangiucchiato almeno la metà della roba che c'è qui dentro. Saremo fortunati se riusciamo a portare via qualcosa."
Più avanti, nell'enorme stanza, si vedevano brillare altre due torce. Una, quella impugnata da Noir, gli si fece incontro.
"I rastrelli hanno reso inutilizzabile parecchia roba, ma mi sembra che ci sia abbastanza per ripagare largamente la fatica di essere venuti qui.
Devono essere entrati da quel buco." fece Noir, indicando una piccola apertura, larga meno di mezzo metro, da cui filtrava un po' di luce in un angolo del magazzino. "Deve averlo scavato un rattorco per farci la tana, ma non lo si vede in giro. Forse l'ha abbandonata, ma non da molto, si sente ancora il suo odore."
"Uhm." annuì Reaver. "Tappate quel buco, per sicurezza, e portate il resto della roba dentro. Passeremo qui la notte. Vedete che cosa riuscite a fare per quella porta. Kubrik," disse, rivolto al Rimembrante dalle orecchie a punta che era accanto a lui "inizia a fare un inventario."
"Sissignore."
Mentre gli altri iniziavano il loro lavoro, chi a preparare il campo, chi ad esplorare il magazzino in cerca di macchinari che potessero avere qualche valore, Reaver rimase ad osservarsi attorno compiaciuto. Poi, decise unirsi agli altri, e fare un giro di esplorazione.
Alcuni dei veicoli nella stanza erano grossi come piccole case, e se anche uno solo di essi fosse stato integro, avrebbe fruttato un bel po' di credito presso la gilda mercantile, abbastanza per finanziare i progetti che Reaver aveva in mente.
Assorto in questi pensieri, mentre osservava un colosso cingolato che assomigliava vagamente ad un gigantesco centopiedi, Reaver sentì uno scricchiolio alla sua destra. Non c'era nessuno dei suoi, in quella direzione. Si girò di scatto. "Che c'è!" disse, deciso, mentre una mano si trovava già sul calcio della pistola ad aghi al suo fianco. Poi, improvvisamente, sentì qualcosa che gli pungeva la gola. Abbassò lentamente lo sguardo, senza muovere un muscolo, e vide che un lungo pugnale era puntato alla sua gola. Dalle sue spalle, arrivò una voce sottile e stridente.
"Indovina indovinello, chi ci sta sul mio coltello?"
Reaver cercò di mantenere il sangue freddo. Sapeva che chiunque avesse alle sue spalle, se si fosse lasciato prendere dal panico o anche solo dalla fretta, gli avrebbe aperto la gola in un istante. Cercò di tenere un tono di voce basso ma deciso.
"Farai bene a toglierlo dalla mia gola. Se mi tocchi, i miei uomini ti ammazzeranno."
"Può darsi," rispose la voce "ma tu non sarai più qui a goderti lo spettacolo. Allora, dove eravamo rimasti? Ah, sì, stavi per dirmi chi sei." Inutile mentire. "Il mio nome è Reaver. Solo il capo dei Corvi. Stavamo per accamparci qui fuori, quando abbiamo notato questo posto."
"E avete trovato un sacco di roba, con un piccolo omaggio: me. Ora la domanda da un milione di crediti è: che cosa ci facciamo con te?"
Il suo tono era calmo e controllato. Un professionista, Reaver pensò. E non si è fatto beccare da Noir e gli altri, prima, per poi arrivarmi alle spalle senza farsi sentire. Un professionista, e parecchio bravo, per di più.
"Fermo là! Non ti muovere!"
Il grido veniva da Noir, che stava immobile e minacciosa, le gambe allargate e una grossa pistola tenuta con entrambe le mani, a una decina di distanza dai due.
"Togli il coltello dalla sua gola, lentamente, o sei morto."
"Rilassa l'indice sul grilletto, mia dolce fanciulla, o il vostro capo scopre se tutte le preghierine che ha detto fino ad oggi sono servite a qualcosa oppure no."
La voce dell'uomo era ancora controllata. Non c'era un filo di paura che Reaver riuscisse a distinguere.
"Calma, Noir, va tutto bene, per ora. Bene, direi che è il tuo turno di fare le presentazioni."
"OK," rispose la voce, "la gente mi chiama, Freakshow, Nemo, Ripperjack, Pazzo, Cretino, e in un sacco di altri modi. Ero con la banda dei Ratti, fino a che non i sono stancato e mi sono messo in proprio."
"Bene, Freakshow, sentimi bene. Tu ora togli il coltello dalla mia gola, e io ti lascio andare via con quello che hai raccolto finora. In caso contrario, tu cerchi di estorcere qualche accordo assurdo, fallisci, e provi tagliarmi la gola prima che Noir, qui, ti apra un buco in fronte. Mi sembra equo".
Nel frattempo, anche gli altri Corvi erano arrivati, e fissavano i due, con la mano tesa e vicina a qualunque arma avessero con sé, pronti a scattare. La tensione era palpabile. Gli unici che non sembravano tesi erano Reaver e il suo assalitore, Freakshow.
"Uhm," rispose Freakshow pensieroso, "ci potrei stare. Ma chi mi assicura che voi mi lasciate uscire vivo dopo che ho perso il mio. Ehm, potere contrattuale?" disse muovendo leggermente il grosso coltello.
"Nessuno. Hai scelte?" rispose Reaver. Se questo era un professionista, e non uno sciacallo solitario da quattro soldi, lo aveva già capito da solo.
"Faccio una controproposta. Tu ora prendi questa." disse, mentre metteva in una tasca di Reaver un oggetto ovale, grosso come una pigna.
"Poi dici ai tuoi di lasciarmi andare, io esco di qui, e se voi fate qualcosa per impedirmelo, premo questo" disse, mostrando l'altra mano che teneva un piccolo cilindro color madreperla con un grosso pulsante a un capo e una specie di piccolo spago dall'altro "e l'oggettino che hai in mano, salta per aria e ti trasforma in marmellata di capobanda. Non ti sembra meglio?"
"E chi mi assicura che, una volta uscito di qui, tu non la fai saltare lo stesso?"
"Nessuno. Hai scelta?"
"Pare di no. OK, ragazzi, lasciatelo andare."
"Ma, Reaver."
"Noir, non protestare. Va bene così."
"Ascolta il tuo capo, ti conviene." Ci fu un guizzo, e il coltello sparì dalla gola di Reaver e dalla mano di Freakshow, mentre i due si separavano. Reaver teneva le braccia aperte, i palmi rivolti rassicurantemente all' esterno. Lentamente, si girò verso l'uomo di cui finora aveva solo sentito la voce.
Quello che rispondeva al nome di Freakshow, almeno al nome di Freakshow, Reaver si corresse, era un uomo alto e magro, con i capelli lunghi e neri che gli cadevano dietro le spalle. La sua pelle era grigia, e il suo corpo, Reaver si corresse, non era semplicemente alto, era come allungato, persino le dita erano lunghe e sottili, cosa che tendeva a richiamare l'immagine di uno scheletro o un cadavere mummificato. Gli occhi, alla luce delle torce, brillavano di una luce verdastra, come quelli di un animale notturno.
Portava un paio di pantaloni e una giacca senza maniche di taglio militare, piene di tasche da ciascuna delle quali sembrava spuntare qualcosa: una stecca, una catenella, una piccola torcia, o cianfrusaglie completamente inutili. Dalla cintura pendevano due grossi pugnali, mentre il manico di altri due spuntavano da dietro la schiena, uno da un lato, uno dall'altro. Un piccolo zaino sulle spalle completava il quadro. Sulla spalla sinistra, neri come la pece e stranamente lievemente in rilievo, alcuni simboli sembravano impressi nella carne. Lo strano individuo iniziò a camminare verso la porta, iniziando a fischiettare tranquillo, la mano sinistra che impugnava distrattamente il detonatore.
Quando fu arrivato quasi alla porta, Reaver lo fermò.
"Freakshow, ho un'altra proposta da farti."
"Vuoi provare a farmi saltare la testa prima che io riesca a premere il bottoncino?"
"No, voglio proporti di unirti a noi. Ci serve uno come te. E tu non combinerai molto continuando ad andare in giro da solo."
"Sei sicuro?"
Reaver sorrise. "Sono sempre sicuro."
"E i tuoi amici, che cosa penseranno di me?"
"Noir?"
"Sei tu il capo, Reaver. Io non mi fiderei, ma se tu dici che è OK, chi sono io per obbiettare?"
"Kubrick?"
"I simboli che porti sul braccio." rispose il rimembrante, diretto a Freakshow "E' un linguaggio scientifico, significano 19. Cosa vuol dire?"
"E' la risposta alla Domanda Definitiva sulla Vita, l'Universo e Tutto Quanto." Freakshow era serio, stava usando il tono di chi risponde a una domanda alla quale ha dato la stessa risposta per tutta la vita.
"E quale sarebbe questa domanda?"
"Non ne ho la più pallida idea." Freakshow sorrise.
"Allora," riprese Reaver "accetti o no?"
Freakshow inclinò la testa su un lato, incuriosito.
"Non so. Non è che siate antipatici, ma non so se per me è già ora di socializzare di nuovo con qualcuno."
Poi, estrasse un piccolo oggetto da una tasca, lo soppesò attentamente, e lo lanciò in alto. Quello che sembrava un piccolo disco metallico roteò in aria, e Freakshow lo riprese al volo stringendolo nel pugno chiuso.
"Testa accetto, croce me ne vado" lentamente aprì il palmo "Testa. Sono dei vostri."
Lentamente, rimise in tasca la moneta, e girò una rotella sul detonatore che aveva nell'altra mano. Il pulsante all'altra estremità rientrò all'interno, e il detonatore rientrò in una tasca.
"Benvenuto tra i Corvi." Disse Reaver.
Ma questa, è un'altra storia.

Sunday, August 19, 2001

sogni di perseo

Sto dormendo, anzi no, sono sveglio ma fingo di dormire. L’uomo con la barba entra nella stanza, mi guarda, crede che io stia dormendo. Avverto il suo affetto per me, è come una coperta che mi avvolge, ed io spero che niente potrà mai crollare, non di nuovo. Ma c’è qualcos’altro, prima non capisco, poi comprendo: è un ago di angoscia che penetra in me e rilascia il suo veleno… proviene da lui. Mi domando cosa abbia da temere. Mi volto e vedo l’uomo con la barba alla porta, mi augura la buona notte, se ne va. Dopo un po’ le emozioni si placano, ma una domanda continua a galleggiare: niente potrà mai crollare, vero?

Nero, il colore nero, il colore della paura. Affiorano dei ricordi, credo siano miei. Ricordo una fuga, molta gente che ha paura ed ansima. L’ansimare di un uomo con la barba sulla mia nuca. Distribuisce ordini con fare sicuro e determinato ma è preoccupato, lo sento; forse ha paura? Per me questo non è possibile. Fuggiamo, ma non so da cosa e perché. Chi ci sta cacciando? Devo correre, ma non ce la faccio. L’uomo con la barba mi prende per un braccio, mi vuole aiutare. Ma poi è costretto ad affidarmi a qualcuno. Corriamo ed ho paura, poi arriva il buio, l’oblio, il nero.

Fatica, sudore, caldo. Il dolore dell’animo, un dolore dell’animo: solitudine. Non ero mai stato solo finora, adesso invece lo sono. Cosa devo fare? Correre? Sperare? Aspettare? Mi prenderanno? Poi la certezza: “sì, ti prenderanno”. Non c'è più nessuno qui a proteggermi. Smetto di correre, attendo chi mi salvi… o il mio destino.

Fatica, sudore, caldo. Rivivo delle sensazioni spiacevoli. Perché sono in questo buco? Perché sto scavando? Lavoro per sopravvivere, la mia volontà di sopravvivere è suprema, ma il mio giovane corpo non riesce a supportare la mia volontà. Cado sfinito, accanto a me qualcuno viene a controllare se sono morto, Mi rialzo, continuo a lavorare. Sopravviverò a questo lurido buco.

Sudore, caldo, una notte calda e torrida, non sto lavorando, qualcosa accade nella tenda intorno a me… una rivolta! Mi alzo, colgo l’occasione. Il mio spirito si accende: ci si spinge, si lotta, alcuni cadono uccisi, altri sono solo tramortiti. Tutto finisce in fretta, l’occasione è svanita, vengo picchiato… ci sarà mai un futuro diverso da questo? Dopo poco arriva qualcuno: un uomo alto, pallido, severo in volto, con il viso allungato oltre misura, è calvo e questo lo rende ancora più inquietante. I bruti gli spiegano cosa è successo, lui osserva, annuisce. I bruti lo temono, lo so, lo capisco. L’uomo pallido ci osserva, con disprezzo, sputa addosso a qualcuno che si butta ai suoi piedi implorando pietà. L’uomo alto e pallido dà ordine di farci uccidere tutti, pubblicamente, e si sparge il terrore. Poi un evento inaspettato: il suo sguardo si posa sul mio. Mi guarda, mi scruta, mi osserva. Vedo curiosità, poi un certo stupore nei suoi occhi. Vengo portato di fronte a lui, mi scruta, mi gira, mi strappa i vestiti sulla schiena, lo sento rimanere senza fiato. Poi… di nuovo il buio.

Cavetti partono dal mio corpo, piccoli tubicini, aghi, ventose, sono nudo, sono immerso in un qualche liquido. Ho la consapevolezza di essere sveglio, ma il mio corpo dorme. È come vedersi dall’esterno, se mai fosse possibile. Questa stanza è piena di cose strane, cose che non comprendo, ma c’è dell’altro, posso vedere distante, oltre questa stanza. E’ una coltura, non vi coltivano cibo, ma uova, pallide, umide, una si spezza, si apre, suona un allarme, qualcuno viene, raccoglie il biancastro contenuto dell’uovo e lo porta via. Vengo bruscamente risvegliato: è come sentirsi risucchiare ogni particella di sé verso le catene del proprio limite fisico, sono improvvisamente e dolorosamente catapultato di nuovo in me, nel mio corpo, sono sveglio. Di fronte a me, deformato dal liquido che mi avvolge, un uomo. Si tira un’orribile cavo proveniente dalla sua nuca e poi un altro ancora. Li inserisce alla base del tubo dove sono costretto. Poi… è tortura, sta entrando dentro di me, lo respingo con tutte le mie forze, ma lui avanza implacabile, verso la mia essenza, tocca cose che nessuno aveva mai toccato, provo sensazioni artificiose da lui generate. Il mio odio trabocca insieme al mio dolore, perdo i sensi.

È un periodo di serenità, le ferite si rimarginano, la paura scema. Vivo tra persone che sono evidentemente dei reietti della società: spesso sono uomini deformi, che ai miei occhi invecchiano velocemente, hanno cicatrici, sono timorosi. Uno tra loro è, senza ombra di dubbio, il loro leader. Un uomo con dei grossi baffi, ha un solo occhio, l’altro è coperto da una benda. È stempiato e ha i capelli neri. Non è molto alto ed è un po’ corpulento, cammina male ed ha anche una cicatrice alla base del collo. Ma nonostante il suo aspetto poco insigne tutti lo rispettano come il capo, mi ricorda l’uomo con la barba. Insieme all’uomo coi baffi ricordo una ragazza a cui lui mi ha affidato perché fossi guarito: è strana, di una bellezza inquietante: ha la pelle di alabastro e i capelli bianchi, gli occhi sono di un azzurro pallidissimo e la pupilla non è nera, ma bianca anch’essa. Si muove diafana, ma decisa tra i poveracci che abitano questo luogo. Molti la guardano con timore reverenziale, ma lei vive al di sopra di tutto e di tutti. Non so chi mi ha portato qui, ma so che non avrei mai potuto farcela da solo. Non so perché non ricordo molto, ma so che sono stato per molto tempo in questo posto.

Poi tutto ad un tratto è tornato il buio e l’oblio nella mia mente. Tutto svanisce di nuovo, come un sogno che lentamente si dissolve e di cui non è possibile serbar ricordo. “Tutto scorre con la corrente” dice una voce calda a cui mi appiglio. È la voce di una donna, al fianco dell’uomo con la barba. Dove mi sveglierò la prossima volta? Provo sconforto, ma questa volta sono pronto e lotterò fino allo strenuo delle forze!